Alfieri

Alfieri nasce ad Asti nel 1749 e muore a Firenze nel 1803. Viene da una famiglia molto ricca (il padre era un conte), però perde il padre prestissimo e vive un rapporto conflittuale col nuovo marito della madre, di conseguenza viene mandato a studiare presso l’Accademia militare di Torino.

Nella sua autobiografia “Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso stesso” (con esempio la biografia di Goldoni) scrive come lui nell’accademia fosse “un asino, con asini e sotto un asino”, descrivendo quindi l’accademia come luogo di non educazione.

Dopo l’uscita dall’Accademia Alfieri, ancora giovanissimo, inizia a viaggiare sia in Italia che in Europa, spendendo e vivendo una vita molto agiata. Oltre ai viaggi inizia anche a leggere interessandosi agli illuministi come Voltaire e Rosseaus e allo stesso tempo anche ai classici latini e greci, cosa che lo porterà poi a sostenere che gli antichi possedevano quella grandezza d’animo e profondità di spirito a cui lui stesso aspira ma che sa non potrà mai raggiungere nei suoi tempi. Qui quindi può essere fatto un confronto con Leopardi: anche per lui nella sua prima fase gli antichi avevano i mezzi per essere vicini alla natura e per essere felici, a differenza dei tempi moderni.

Una data importante per Alfieri è il 1775, quest’anno segna infatti una svolta, dato che lui approccia la letteratura da scrittore e non da lettore per la prima volta. C’è da dire che già l’anno prima aveva scritto di getto una tragedia intitolata “Cleopatra”, l’unica note da evidenziare è in Antonio (che è innamorato per Cleopatra) che fa da alter ego allo stesso Alfieri che era innamorato di una non ben identificata marchesa di Torino. Nello stesso anno Alfieri si trasferisce a Firenze, per poi iniziare a girare per le città simbolo della Toscana, come Pisa, Siena e Firenze stessa.

Tra il 1775 e 1776 scrive il “Filippo” e “Polinice

Dal punto di vista biografico Alfieri quindi si sposta molto, incontrando molte culture durante la sua vita.

Alfieri si trova a Parigi anche nel 1789 durante la rivoluzione francese, che lui all’inizio capisce e approva, fino ad arrivare a disprezzare totalmente i francesi qualche anno dopo, affermando che i valori della rivoluzione non corrispondono ai suoi ideali di libertà (dice queste cose nel “Misocallo”).

Alla base del pensiero di Alfieri c’è il “titanismo“, che si definisce come l’atteggiamento di un uomo che tende all’infinito (tutto ciò che non ha limiti), consapevole del fatto che lui sia una persona “finita” che non può superare certi limiti, anche per questo Alfieri reagisce positivamente ad ogni “rottura”, per poi magari rifiutarla riflettendoci meglio.

Nonostante questa filosofia Alfieri però non rinuncia a provare a superare i propri limiti ed a ribellarsi, ad esempio in una delle sue prime opere politiche afferma come nonostante l’uomo sia oppresso dal tiranno, può avere la libertà scrivendo (quindi trova comunque una forma per esprimersi), cosa praticamente opposta rispetto a Leopardi, molto più pessimista riguardo questo fronte.

Gli anni successivi alla rivoluzione Alfieri ritornerà in Toscana fino alla sua morte nel 1803.

Per quanto riguarda le sue opere abbiamo sia opere politiche che le tragedie.

Riguardo alcuni temi chiave dell’illuminismo abbiamo quello sulla fiducia del progresso, qui Alfieri non è molto convinto, lui sostiene infatti che accanto al progresso economico ci sia un allargamento della cultura anche alle masse, cosa che per l’autore non è positiva, dato che significa dar voce a chi non è colto.

Un altro tema è quello della scienza e della ragione, alla quale l’illuminismo è ovviamente favorevole, che Alfieri ripugna perché essa è un freno all’immaginazione.

Alfieri in più rifiuta l’accusa della religione da parte degli illuministi, non perché creda ad un Dio, ma perché tenendo tutto nei limiti della ragione (che rifiuta la religione), non si può più credere ad un qualcosa di infinito.

Prima opera politica “Della tirannide”

Scritta nel 1777, è un piccolo trattato politico scritto di getto in cui i temi predominanti sono la definizione del concetto di tirannide e la libertà.

Alfieri qui analizza il concetto di tirannide arrivando a sostenere che si può definire tirannide ogni forma di monarchia assoluta, affermando inoltre che il successo del tiranno è dato dall’appoggio della nobiltà (che pensa di trarne dell’utile), del corpo militare (che diventa lo strumento con cui il tiranno sottomette le masse) e del clero (che mantiene le masse “incapaci” di agire). L’autore quindi si chiede come l’uomo possa scegliere la libertà e trova due modi: con il suicidio o con la solitudine dalla società, qui però c’è un problema perché in nessuna delle due opzioni non si riesce ad aiutare gli altri, quindi c’è un compromesso con l’uomo che può liberarsi ed essere utile agli altri scrivendo.

LIBERTÀ DELL’INTELLETTUALE

Un monarca che vive con un principe non è libero di esprimere le sue idee per via di un debito con la persona con cui lavora. Alfieri sostiene che chi narra un certo eroe abbia più merito nell’averlo fatto conoscere rispetto all’eroe stesso.

IL MISOGALLO

“Misein” in greco significa “odiare” e i galli sono i francesi, in quest’opera infatti Alfieri esprime tutto il suo odio per la rivoluzione. Quest’opera è scritta tra il 1796 e il 1799.

Alfieri auspica che, al contrario del cosmopolitismo caratteristico dell’Illuminismo, l’Italia abbia una mentalità più nazionalistica.
Dal punto di vista storico il misogallo è importante perché in quest’opera comincia a delinearsi l’idea di nazione.


SATIRE

Le satire vengono composte tra il 1776 e 1797. La prima satira è chiamata “La plebe” e qui Alfieri con un tono molto aspro si scaglia contro la borghesia nascente, l’autore sostiene infatti che a questa nuova gente non debba essere riconosciuto alcun diritto, se non quello di stare al proprio posto e obbedire. La sua polemica continua poi con la satira “L’antireligiosità”, in cui si rivolge all’idea dell’Illuminismo di Voltaire (che affermava che non dovesse esistere alcuna religione), che Alfieri disapprova perché secondo lui la religione è uno strumento utile a mantenere ordine sociale e a sottomettere le masse.

Nella terza satira chiamata “Filantropireria“, Alfieri si scaglia contro la Filantropia perché per Alfieri non devono esistere i diritti umani estesi a tutta la massa. Altro tema in cui si scaglia l’autore è quello dell’economia nella satira “Il commercio“, nella quale sostiene che il commercio stesso sia un’invenzione della borghesia.

LE COMMEDIE

Le commedie sono scritte dal 1800 al 1803 e le prime quattro sono di stampo politico: “L’uno”, “i pochi”, “i troppi”, “l’antidoto”e in queste si scaglia contro monarchia, oligarchia e democrazia (rispettivamente), mentre con “L’antidoto” arriva a sostenere che sarebbe necessario che uno stato fosse retto dalla mescolanza di tutti e tre queste forme di governo  (detto in modo comico/ironico)

Le altre due commedie che scrive sono lo specchio della società in cui vive l’autore: la prima è intitolata “Il divorzio”, nella quale tratta il tema del cicisbeismo, ovvero la tendenza di avere sempre intorno da parte della società moderna un cavalier servente (che poi diventa l’amante) da parte della donna, dato che l’uomo era occupato nelle attività lavorativa.

L’ultima commedia è chiamata “La finestrina” e qui Alfieri afferma che dietro le attività eroiche e speculative dei grandi personaggi in realtà si nasconde non una volontà di far del bene ma soltanto un desiderio di vanità. Questo atteggiamento si può evidentemente osservare da quella finestrina aperta sull’animo di questi personaggi.

LE TRAGEDIE

Le tragedie di Alfieri sono divise in tre fasi principali:

1) IDEARE: Alfieri sceglie i personaggi e l’intreccio (trama)

2) STENDERE: Scrittura in prosa dei dialoghi

3) VERSEGGIARE: I dialoghi in prosa vengono trasformati in versi

Alfieri usa quindi queste tre fasi per scrivere le sue tragedie.
Inoltre esso è già proiettato verso il Romanticismo ma resta comunque legato alla classicità nell’uso di endecasillabi sciolte e per seguire la regola di Aristotele.
Secondo lui la tragedia deve essere corta e deve essere scelto un luogo preciso con un’azione repentina svolta in 24 ore.

Anche nelle tragedie egli si oppone al modello della tragedia francese per 5 motivi:

1) DINAMISMO: Alfieri condanna la lunghezza delle tragedie francesi.

2) Allungando la tragedia ci si perde in troppi particolari, la tragedia deve essere coincisa.

3) Il modello francese non segue la regola di Aristotele.

4) Lo stile deve essere rapido ed essenziale.

5) Anche i dialoghi sono troppo lunghi.

Alfieri sceglie la tragedia perché per lui è il più alto stile che esista poiché si ritrova il concetto di TITANISMO (che indica il lui la sua infinita grandezza che si scontra con tutto ciò che la ostacola) .

La tragedia è il luogo per eccellenza dove l’uomo può esprimere la sua ricerca dell’assoluto , dando libero spazio alle inquietudini e quindi purificandosi.

Ma seriamente stai leggendo sta roba?

Produzione tragica

Divisa in 3 fasi:

1 fase –> tragedie come “Reste”, “ l’Agamennone”, “Il filippo”.
È ancora forte l’idea della tensione verso l’infinito e la consapevolezza dei propri limiti.
“Oreste” in particolare rappresenta il Titanismo perché compie un gesto sublime, ma il limite è egli stesso e l’odio nei confronti della madre

2 fase –> Elaborazione di una sorta di pessimismo storico (Leopardi). Troviamo opere come “La congiura dei Pazzi” , “Bruto 1° e 2°”, “Maria Stuarda” .
Qui nasce l’idea che i tempi moderni costellati da personaggi che non hanno abbastanza valori come quelli antichi.

3 fase –> “Saul” “Mirra” dove Alfieri giunge all’idea che l’uomo non arriverà mai all’infinito.
Qui nasce in lui l’idea della solidarietà tra gli uomini, mezzo di consolazione per non aver raggiunto l’infinito.

Commenti

  1. Autore
    del Post

Commenti chiusi